E’ scaturita dalla fusione di due varianti, potrebbe aumentare l’infettività e la diffusione. Nessuna indicazione sull’efficacia dei vaccini
Due varianti di SARS-CoV-2 si sono fuse e dalla combinazione dei loro genomi hanno formato una versione ibrida del virus fortemente mutata. L’evento di «ricombinazione» è stato scoperto in un campione di virus in California e suggerisce che potremmo essere sul punto di entrare in una nuova fase della pandemia. In particolare, il virus ibrido è il risultato della ricombinazione della variante B.1.1.7 altamente trasmissibile scoperta nel Regno Unito e della variante B.1.429 che ha avuto origine in California e che può essere responsabile di una recente ondata di casi a Los Angeles perché porta un mutazione che la rende resistente ad alcuni anticorpi. La nuova versione di Sars-CoV-2 è stata scoperta da Bette Korber del Los Alamos National Laboratory nel New Mexico ed è stata riferita in occasione dell’incontro organizzato dall’Accademia delle scienze di New York.
Lo scienziato, stando a quanto riportato dal New Scientist, ha dichiarato di avere prove «abbastanza chiare» nel suo database di genomi virali negli Usa. Se la scoperta verrà confermata, si tratterà della prima versione ricombinata ad esser stata rilevata in questa pandemia. A dicembre e gennaio, due gruppi di ricerca hanno riferito in modo indipendente di non aver visto alcuna prova di ricombinazione, ma il timore c’è perchè si tratta di un evento solitamente comune nei coronavirus. A differenza della mutazione «normale», in cui i cambiamenti si accumulano uno alla volta, che è il modo in cui sono sorte le varianti emergenti, la «ricombinazione» può riunire più mutazioni in una volta sola. Il più delle volte, questi non conferiscono alcun vantaggio al virus, ma a volte lo fanno.
La ricombinazione può essere di grande importanza evolutiva, secondo Francois Balloux dell’University College di Londra. E’ considerata da molti come l’origine di SARS-CoV-2. La ricombinazione potrebbe portare all’emergere di varianti nuove e ancora più pericolose, anche se non è ancora chiaro quanto sia minaccioso questo primo evento di ricombinazione. Korber ha visto solo un singolo genoma ricombinante tra migliaia di sequenze e non è chiaro se il virus venga trasmesso da persona a persona o sia solo una tantum. La ricombinazione si verifica comunemente nei coronavirus perchè l’enzima che replica il loro genoma è incline a «staccarsi» dal filamento di RNA che sta copiando e quindi a ricongiungersi da dove si era interrotto. Se una cellula ospite contiene due diversi genomi di coronavirus, l’enzima può saltare ripetutamente da uno all’altro, combinando diversi elementi di ciascun genoma per creare un virus ibrido. La recente comparsa di più varianti del nuovo coronavirus potrebbe aver creato la materia prima per la ricombinazione perchè le persone possono essere infettate con due diverse varianti contemporaneamente.
Per Sergei Pond della Temple University in Pennsylvania, che tiene d’occhio gli eventi di ricombinazione confrontando migliaia di sequenze genomiche caricate su database, non ci sono ancora prove di una ricombinazione diffusa, ma «tutti i coronavirus si ricombinano, quindi è una questione di quando e non di se». Le implicazioni della scoperta non sono ancora chiare perché si sa molto poco sulla biologia del virus ibrido. Tuttavia, porta una mutazione di B.1.1.7, chiamata 69/70, che rende il virus del Regno Unito più trasmissibile, e un’altra da B.1.429, chiamata L452R, che può conferire resistenza agli anticorpi. «Questo tipo di evento potrebbe consentire al virus di accoppiare un virus più infettivo con un virus più resistente», ipotizza Korber.
Redazione NurseNews
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