La pausa in cui il prestatore resta a disposizione del datore di lavoro, che può richiedere il suo pronto intervento, costituisce orario di lavoro ai sensi della Direttiva 2003/88/CE
Corte di Giustizia UE 9 settembre 2021, C-107/19
“L’articolo 2 della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che la pausa concessa a un lavoratore durante il suo orario di lavoro giornaliero, durante la quale egli, se necessario, deve essere pronto a partire per un intervento entro due minuti, costituisce «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione, quando da una valutazione globale di tutte le circostanze pertinenti risulta che i vincoli imposti a detto lavoratore durante la pausa di cui trattasi sono di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare tale tempo ai propri interessi”.
Questo, l’importante principio affermato dalla Corte di Giustizia UE (9 settembre 2021, C-107/19) relativamente all’interpretazione della citata Direttiva la quale, come noto, stabilisce (art. 2) che per “orario di lavoro” si intende: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali e per “periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro.
La richiamata Direttiva, all’art. 4, prevede poi che: “gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale”.
La fattispecie riguarda un vigile del fuoco (Repubblica Ceca) che durante la pausa non era sostituito ed era dotato di un ricevitore che gli permetteva di essere avvertito nel caso in cui avesse dovuto interrompere la sua pausa a causa di una partenza improvvisa per un intervento. Egli pertanto, durante le sue pause, prestava un servizio di guardia, restando a disposizione del suo datore di lavoro al fine di poter assicurare una prestazione di lavoro, su domanda di quest’ultimo.
Sul punto, la Corte precisa che:
a) “i concetti di «orario di lavoro» e «periodo di riposo» si escludono reciprocamente. Il tempo di guardia di un lavoratore deve dunque essere qualificato o come «orario di lavoro» o come «periodo di riposo» ai fini dell’applicazione della Direttiva 2003/88, posto che quest’ultima non prevede alcuna categoria intermedia”;
b) i periodi di guardia non costituiscono necessariamente un periodo di riposo e che il periodo in cui lavoratore è “tenuto a restare sul suo luogo di lavoro a disposizione immediata del suo datore di lavoro” e “deve rimanere distante dal suo ambiente sociale e familiare”, egli “beneficia di una minore libertà per gestire il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti”. Pertanto, questo lasso temporale “deve essere qualificato come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, indipendentemente dalle prestazioni di lavoro realmente svolte dal lavoratore nel corso di tale periodo”. Ciò, al pari del periodo di guardia in regime di reperibilità, “durante il quale il lavoratore resta a disposizione del suo datore di lavoro al fine di poter garantire una prestazione di lavoro, su domanda di quest’ultimo”, pur non essendo obbligato a rimanere sul suo luogo di lavoro;
c) le modalità di retribuzione dei lavoratori per i periodi di servizio di guardia non sono disciplinate dalla direttiva 2003/88, ma dalle disposizioni pertinenti del diritto nazionale. Sicché, tale Direttiva non osta “all’applicazione di una normativa di uno Stato membro, di un accordo collettivo di lavoro o di una decisione di un datore di lavoro, che, ai fini della remunerazione di un servizio di guardia, prenda in considerazione in maniera differente i periodi nel corso dei quali vengono realmente effettuate delle prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non viene svolto alcun lavoro effettivo, anche qualora tali periodi debbano essere considerati, nella loro totalità, come «orario di lavoro» ai fini dell’applicazione della direttiva suddetta [sentenza del 9 marzo 2021, Radiotelevizija Slovenija (Periodo di guardia in un luogo remoto) C-344/19, EU:C:2021:182), punto 58]”.
Redazione
fonte
Soluzionelavoro. It