Dopo qualche anno è arrivata l’ ennesima sentenza della Corte Suprema di Cassazione, sesta sezione civile (sentenza n. 00359-22) in merito al proliferare del Demansionamento Infermieristico.
La Corte d’Appello delL’Aquila, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato L’Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo (Lanciano-Vasto-Chieti) ad adibire l’infermiere C.S. Alle mansioni proprie dell’inquadramento posseduto, corrispondenti alla categoria D, appunto con il profilo di infermiere; ha inoltre accertato la dequalificazione subita dal dipendente per il periodo dal luglio 2012 al luglio 2017, condannando la Asl al risarcimento del danno da computarsi nella misura del 10% della retribuzione mensile via via maturata nel periodo, oltre agli interessi dalla domanda giudiziale.
In sintesi la Corte non ha condiviso la tesi deficitaria del primo giudice secondo cui non vi sarebbe stata la prova della “prevalenza” dell’espletamento della mansioni inferiori proprie della figura dell’OSS (operatore socio sanitario cat.B) rispetto a quelle infermieristiche; ha infatti osservato, sulla base delle risultanze istruttorie, come “risulta che l’infermiere C.S. Senz’altro negli ultimi 5 anni…..ha svolto, oltre alle sue funzioni professionali, anche ordinatamente e stabilmente tutte le mansioni che sono proprie della figura dell’OSS, non essendo disponibile personale ausiliario in numero sufficiente a garantire le esigenze primarie dei pazienti”.
La Corte territoriale, poi, circa il danno da demansionamento richiesto, ha ritenuto “provata l’esistenza del danno alla dignità professionale sulla base degli elementi desumibili dagli atti di causa, in considerazione della durata (5anni) per la quale è stata svolta, accanto all’attività corrispondente all’inquadramento professionale, anche l’attività corrispondente all’inferiore inquadramento; alla natura di tale attività ultima attività (prettamente manuale rispetto alla natura intellettuale di quella propria dell’infermiere ), del fatto che tale attività inferiore viene svolta in presenza di tutti i pazienti che, quindi, vedono l’infermiere svolgere compiti propri di lavoratori inquadrati in categoria inferiore”.
La Corte ne ha tratto il convincimento della prova del danno consistente nella mortificazione dell’immagine e della professionalità dell’infermiere.
L’Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo ha quindi proposto ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione con 3 motivi i quali vengono ritenuti, dalla stessa Corte, inammissibili e di conseguenza viene confermata la sentenza n. 238/19 della Corte d’Appello di L’Aquila.