Conforme ai risultati di una recente indagine, l’invecchiamento del cuore è stato associato all’insorgere del scompenso cardiaco e all’ipertrofia cardiaca correlata. Questa correlazione è stata attribuita a un disfunzionale cambiamento nel metabolismo dell’organo, che compromette la sua capacità di pompare il sangue in modo ottimale. In uno studio pubblicato sulla rivista Circulation Research, gli scienziati hanno individuato un “interruttore” responsabile di questo cambiamento metabolico e dimostrato che, almeno nei contesti di laboratorio, inibendo la sua azione è possibile migliorare la funzionalità cardiaca.
pubblicato su Circulation Research, p300 – la cui attività viene intensificata durante l’invecchiamento – altera il metabolismo delle cellule del cuore, simulando una condizione di ridotto apporto di ossigeno alle cellule e spostando il loro fabbisogno energetico sul consumo degli zuccheri: una fonte energetica meno efficiente, che lascia il cuore senza l’energia di cui ha bisogno, contribuendo all’insorgere dello scompenso cardiaco.
Per mettere alla prova questa ipotesi, i ricercatori hanno provato a spegnere l’azione di p300 tramite un inibitore e hanno ottenuto un parziale recupero della funzionalità cardiaca. Sebbene si tratti di uno studio limitato per ora ai modelli di laboratorio della malattia, i risultati ottenuti aprono nuove strade per la ricerca sul trattamento dello scompenso cardiaco.
«Sebbene l’invecchiamento costituisca la causa primaria di scompenso cardiaco, la spiegazione di questo legame ha eluso a lungo medici e ricercatori. Oggi conosciamo un tassello in più di questo puzzle complesso: invecchiando, le cellule del cuore modificano il proprio metabolismo energetico in modo svantaggioso. Questo è il primo passo per sviluppare nuove terapie che riducano il rischio di scompenso cardiaco in anzianità», afferma il prof. Roberto Papait.
Redazione
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