Senza servizi sul territorio e supporto domiciliare, risulta difficile procedere alle dimissioni.
Il 22-25% dei posti letti di Medicina Interna sono occupati da ‘bed blocker’, pazienti che non hanno più bisogno di trattamenti ospedalieri ma che non possono essere dimessi perché non hanno aiuti a casa e non possono essere affidati a strutture sul territorio.
È uno dei dati emersi dal simposio congiunto tra la Società Italiana di Medicina Interna (Simi) e la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti.
(Fadoi) tenutosi durante il 125° congresso della Simi a Rimini.
“La sanità è una filiera che parte dalla casa, dalla famiglia, dai servizi territoriali, va al pronto soccorso, poi nei reparti ospedalieri e torna al territorio. È un sistema di vasi comunicanti e se uno è intasato, si ferma tutto”, sottolinea Dario Manfellotto, presidente di Fondazione Fadoi.
Per esempio, le cronache si soffermano spesso sulle difficoltà dei pronto soccorso. Tuttavia, “non risolveremo mai il problema del pronto soccorso se pensiamo che sia legato solo alla struttura e al personale del pronto soccorso; dobbiamo rivedere tutto il percorso dall’inizio alla fine”, afferma il presidente della Simi Nicola Montano”Se ci fosse un filtro sul territorio, in ospedale arriverebbero solo le persone con un problema acuto, il pronto soccorso sarebbe meno intasato e le medicine e gli altri reparti specialistici riuscirebbero a ricevere i pazienti”.
Lo stesso vale per la difficoltà di dimettere alcuni malati, “perché molti di questi pazienti non riescono a tornare a casa, le famiglie non li possono assistere, lungodegenze e riabilitazioni hanno numeri inadeguati. Bisogna agire a tutti i livelli”, conclude Manfellotto.