Le nostre proposte di emendamento al Cura Italia vanno in questa direzione: mettere in rete i laboratori per aumentare i di test e ridurre i tempi di diagnosi; chiedere al Ministero della Salute di emanare delle linee di indirizzo per semplificare ed uniformare su tutto il territorio la diagnosi, la presa in carico ed il trattamento dei pazienti; dotare gli operatori sanitari di idonei Dpi; prevedere l’assunzione di personale sanitario nei reparti di assistenza Covid e nel Set-118; potenziare i contratti di formazione specialistica in aree strategiche
Sono decine al giorno le telefonate che ricevo. Centinaia i messaggi. Purtroppo si somigliano tutti: non sto bene, credo di essere contagiato ma non ricevo assistenza, non mi viene fatto il tampone; oppure mi raccontano di ritardi nell’arrivo del personale di soccorso, di arrivi in ospedale quando ormai c’era poco da fare; o ancora mi parlano di cittadini che sono stati diagnosticati positivi e sono a casa in sorveglianza attiva, completamente abbandonati e senza che nessuno controlli i loro parametri vitali (saturazione, temperatura, pressione).
Sono settimane che cerco di far arrivare questo messaggio a chi ha predisposto i protocolli di presa in carico e cura dei pazienti positivi al covid19: bisogna rivedere tutto. Bisogna adeguare la diagnosi e la terapia ai diversi modelli regionali di funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale ed allo stato attuale dell’epidemia italiana. Bisogna semplificare i percorsi ed avere delle linee guida nazionali.
Innanzitutto occorre ridurre i tempi di attesa per poter effettuare il tampone: forse la procedura è al momento troppo complessa.
In Campania, ad esempio, è previsto un triplo passaggio per la segnalazione di caso sospetto: il paziente chiama il proprio medico di medicina generale (1) che dopo un’intervista telefonica decide di procedere immediatamente con la segnalazione (quasi mai) o decide di prescrivere antipiretici ed antinfiammatori per qualche giorno per poi, se i sintomi persistono o si aggravano, registrare la segnalazione al dipartimento di prevenzione della Asl (2). La Asl allora avverte il sistema di emergenza urgenza territoriale 118 che, già di per sé oberato dalle richieste di soccorso, si reca entro un paio di giorni al domicilio del paziente per effettuare il tampone (3).
In genere quindi il prelievo viene eseguito 3-5 giorni dopo la prima segnalazione al medico di medicina generale. Il tampone effettuato dal 118 in Campania (dai medici delle Asl nelle altre regioni) viene poi inviato ai laboratori accreditati per l’analisi, che sono troppo pochi e con poco personale, i quali processano il campione e completano l’esame entro 2-3 giorni (per alcuni laboratori servono fino a 4 giorni). Il risultato del tampone viene infine comunicato dal laboratorio alla Asl, o all’ospedale nel caso in cui il paziente sia stato intanto ricoverato per un peggioramento dei sintomi. Da questo momento parte il percorso Covid. Siamo in media ad una settimana/ 10 giorni dalla prima segnalazione.
E’ semplice capire come, in una malattia con un quadro clinico che peggiora in maniera improvvisa quando il danno polmonare è severo, aspettare una settimana voglia dire spesso non avere più scampo. Tra l’altro, secondo le linee guida, il prerequisito per procedere al ricovero è la comparsa di dispnea, segno di un danno polmonare acuto, che in una settimana quasi sempre evolve in maniera negativa, soprattutto in pazienti già fragili.
Ecco perché in Italia, a mio avviso, si muore di più. Ecco perché abbiamo tanti ricoveri in terapia intensiva. Perché non c’è una presa in carico precoce e perché il processo di diagnosi è troppo complesso. Perché i pazienti positivi non sono assistiti in maniera adeguata al domicilio con strumenti di telemedicina o anche solo di monitoraggio dei parametri vitali.
Basterebbe ad esempio formare delle equipe mediche che si rechino a casa dei pazienti portando con sé un saturimetro, un ecografo portatile ed un fonendoscopio per fare diagnosi ed inquadrare i pazienti dal punto di vista clinico, monitorando nel tempo lo stato di salute, sempre a domicilio. In questo modo forse l’effettuazione del tampone nei pazienti clinicamente sintomatici potrebbe essere persino superflua e potrebbe forse essere riservata invece ai soggetti asintomatici per tracciare la diffusione dell’infezione nei luoghi sensibili (ospedali, residenze per anziani, scuole, etc).
Questa strategia consentirebbe di tracciare la diffusione dell’infezione in modo capillare ed eliminerebbe il blocco dovuto all’ attesa del risultato del tampone nella presa in carico da parte dei centri covid dei soggetti infetti. Purtroppo siamo nel mezzo di una pandemia e chi ha i sintomi caratteristici della malattia è certamente positivo o comunque va trattato come tale, accorciando il più possibile i tempi di diagnosi ed inizio della terapia.
Le nostre proposte di emendamento al decreto Cura Italia, in discussione in Senato, vanno proprio in questa direzione: mettere in rete i laboratori delle Aziende Sanitarie, degli IRCCS, delle Università per aumentare il numero di test effettuati e ridurre i tempi di diagnosi; chiedere al Ministero della Salute (tramite AIFA o ISS) di emanare delle linee di indirizzo per semplificare ed uniformare su tutto il territorio nazionale la diagnosi, la presa in carico ed il trattamento dei pazienti Covid; dotare gli operatori sanitari di idonei strumenti di protezione individuale e supportarli, anche attraverso percorsi formativi, nella gestione dell’emergenza; promuovere il trattamento ed il monitoraggio domiciliare dei pazienti attraverso strumenti di misurazione dei parametri vitali e di telemedicina; prevedere l’assunzione di personale sanitario nei reparti di assistenza Covid e nel SET-118, soprattutto attraverso lo scorrimento delle graduatorie di idonei e la stabilizzazione dei precari; potenziare i contratti di formazione specialistica in aree strategiche nella gestione di epidemie.
La soluzione per venire fuori da questa emergenza dal punto di vista sanitario non è solo allestire i reparti di terapia intensiva, che pure servono per i casi più gravi. La soluzione è innanzitutto rivedere il modello di gestione messo in campo finora, puntando a ridurre il numero di persone che arrivano in terapia intensiva (abbiamo i numeri più alti del mondo) e questo si può raggiungere solo diagnosticando e trattando precocemente i pazienti positivi già a domicilio.
De-ospedalizzare vuol dire anche impedire che i nosocomi diventino essi stessi focolaio di infezione, mettendo in pericolo la vita di pazienti ed operatori sanitari.
Al distanziamento sociale, necessario in questa fase per ridurre i contagi, deve seguire la messa a punto di strategie a lungo termine che servano per arginare l’eventuale ripresa della diffusione del virus quando, inevitabilmente, si allenteranno le misure restrittive.
Tutto questo deve inevitabilmente passare attraverso una visione di sanità e di salute pubblica che abbia al centro l’intera comunità e non il singolo e che indirizzi le risorse verso un reale potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale utilizzando strumenti di telemedicina e nuove tecnologie.
Sen. Maria Domenica Castellone (M5S)
Commissione Sanità del Senato
Fonte Quotidiano sanita