da sanità informazione:
Ridefinire una strategia integrata tra territorio e ospedali, assicurare una maggiore capillarità nei tracciamenti degli asintomatici e dei tamponi nei sintomatici, garantire la sicurezza degli operatori attraverso adeguati DPI, intercettare e seguire in modo efficace e precoce a livello domiciliare i pazienti Covid ma soprattutto garantire il ritorno a regime della presa in carico di tutte le altre patologie, croniche e non. Ecco la rotta principale tracciata in vista della Fase 2 dalla medicina territoriale, intesa nelle sue declinazioni principali ossia la medicina generale e la specialistica ambulatoriale.
«Nella Fase 2 sarà fondamentale non abbassare la guardia, ed anzi riprendere ad attivarsi su tutte quelle patologie croniche afferenti alle fasce di popolazione più fragili, che in questo periodo sono state per forza di cose (urgenze a parte) un po’ messe da parte – dichiara ai nostri microfoni il vicesegretario nazionale SUMAI, Gabriele Peperoni. – Tuttavia mentre dilagava il Covid – aggiunge – le altre patologie non sono certo andate in vacanza. Riteniamo però che da maggio in poi la situazione si normalizzerà da questo punto di vista e, siccome i contagi probabilmente caleranno ma non si azzereranno, chiediamo di lavorare in condizioni di sicurezza a cominciare dalla sanificazione degli ambienti e dall’utilizzo delle mascherine sia da parte di noi operatori che da parte dei pazienti».
Sarà necessario inoltre differenziare con cognizione di causa il grado e il tipo specifico di DPI richiesti per ogni branca specialistica: «L’oculista e l’otorino – spiega Peperoni – ma anche l’allergologo, a causa dei contatti estremamente ravvicinati coi pazienti, dovranno utilizzare visiera, guanti e camici monouso, anche se è chiaro che cambiare camice ad ogni visita è molto difficile. Particolare attenzione poi alle visite domiciliari, che comunque non sono mai state interrotte, e che dovranno essere maggiormente improntate alla sicurezza. Anche qui, camici monouso e mascherine FFP2 da sovrapporre a quelle chirurgiche».
Un caposaldo della fase 2 saranno poi i controlli sugli operatori sanitari, dai tamponi agli screening sierologici: «Il rischio viceversa è che noi medici ci trasformiamo in untori e gli ambulatori in focolai, così come è stato per alcuni ospedali – aggiunge il vicesegretario nazionale SUMAI». Insomma, non si parla né di grosse spesse né di mutamenti sostanziali, semplicemente di riuscire a riorganizzare il territorio con alcuni accorgimenti. «Uno di questi potrebbe essere, ad esempio, il controllo della temperatura a chi accede agli ambulatori, ma sicuramente il prevedere – conclude Peperoni – gli accessi uno alla volta (tranne i casi di disabilità in cui sarebbe ovviamente previsto l’accompagnatore, a cui andrebbe a sua volta misurata la temperatura), e diversificare gli orari per evitare assembramenti».
Sulla stessa linea anche il vicesegretario nazionale FIMMG, Pierluigi Bartoletti, per il quale sarà essenziale, nelle fase 2, evitare di incappare negli stessi errori che hanno contraddistinto la fase 1, inficiando una risposta davvero efficace a livello territoriale ai nuovi bisogni assistenziali determinati dall’epidemia. «Sicuramente la medicina generale ha scontato l’inerzia nell’attivazione di tutti i meccanismi territoriali con risultati frammentari – spiega ai nostri microfoni – e questo è stato penalizzante perché poi abbiamo visto che il Covid, se trattato precocemente e adeguatamente, spesso non richiede ospedalizzazione. Nella fase 2 – continua Bartoletti – sarà necessaria una maggiore esecutività della medicina generale anche nell’effettuazione di tamponi, in modo tale da riuscire a contenere il più possibile l’infezione. Altro punto fondamentale – aggiunge – sarà non solo dotare gli operatori sanitari di adeguati DPI, ma implementare la formazione sul corretto uso degli stessi».
Per Bartoletti, inoltre, il nodo fondamentale sarà ristabilire una sinergia tra i due livelli della sanità: territorio e ospedali. «Nessuno esce vincitore se, come è accaduto, si creano cortocircuiti tra questi due sistemi – afferma -. Il territorio da solo non va da nessuna parte, ma neanche gli ospedali, come abbiamo potuto notare; viceversa si dovrà lavorare all’unisono, ognuno con le sue competenze, ma con l’obiettivo comune di evitare una seconda ondata». Un errore strategico sarebbe stato anche l’aver diminuito, nel corso del tempo, il fattore “capillarità” della medicina territoriale in molte Regioni: un fattore capace di fare davvero la differenza in situazioni come questa. Si tratterebbe di configurare un ruolo di sentinella per la medicina generale, che lavori a stretto contatto con gli altri livelli della sanità.
«Relegare la medicina generale alla gestione delle cronicità si è rivelata una scelta controproducente per chi l’ha perseguita, e non ci si può sorprendere che poi nella gestione delle acuzie determinate da un’epidemia, questa rete si sia confermata assolutamente inefficace. Il ruolo della medicina generale – conclude il vicesegretario FIMMG – è fare in modo che tutto ciò che potrebbe non arrivare negli ospedali, non ci arrivi, che siano acuzie o cronicità».