A proposito della lettera di Cesarino Mapelli pubblicata sul Corriere della sera, il 26 aprile, che riprendiamo e pubblichiamo.
“ho 25 anni e tra un paio di mesi prenderò la laurea in Medicina e Chirurgia. Mi ha dispiaciuto leggere che le numerose operatrici sanitarie che lavorano in prima linea sono definite collaboratrici. In più mentre dei medici si lodano la «preparazione e le doti umane», delle suddette collaboratrici si celebra il «sorriso nonostante il tremendo abbigliamento», come se la bella apparenza sia tutto ciò che hanno da offrire.
Queste collaboratrici sono in realtà dottoresse, infermiere, fisioterapiste, oss, personale competente che ha il diritto di essere nominato con il titolo che si è guadagnato con anni di formazione ed esperienza. Donne che vanno al lavoro sapendo che hanno di fronte un turno lungo ed estenuante, che rischiano la salute per curare il prossimo, che lavorano tanto quanto gli uomini e anche di più perché quando arrivano a casa la sera spesso si devono occupare anche di altro. A me piace pensare che in un reparto ospedaliero non esistano «collaboratrici», ma piuttosto professionalità diverse che si mettono in gioco ogni giorno per unire competenze e conoscenze al servizio del paziente, senza scale gerarchiche dettate dal genere o dal titolo.”
Francesca Giovanelli