Per Federico Gelli andrebbe istituito un fondo nazionale per indennizzi e risarcimenti. Poi spinge sull’approvazione dei decreti attuativi della legge 24. Ecco come è andato il webinar “Sanità – Cosa imparare dall’esperienza Covid-19”
«Il 90% del rischio in sanità, abbiamo imparato, non è dato da problemi clinici, da problemi farmacologici o di trattamento, che pure ci sono. È dato dal rischio organizzativo delle strutture sanitarie». Così Stefano Mezzopera, a nome della Società della gestione del rischio in sanità, durante il webinar “Sanità – Cosa imparare dall’esperienza Covid-19” promosso dall’Istituto per la Promozione dell’Etica in Sanità. La discussione fra gli intervenuti si è concentrata ampiamente sulle prospettive della gestione del rischio in sanità all’indomani dell’emergenza coronavirus.
Stefano Mezzopera è intervenuto dopo Carlo Coletta, presidente dell’Associazione fra le società di perizie assicurative property & casualty: «Forse lo saprete da dialoghi con la struttura amministrativa dei vostri ospedali, ma attualmente c’è la fuga degli assicuratori e dei riassicuratori dalle polizze del rischio in sanità. Ecco che allora diventa sempre più cruciale che le strutture ospedaliere si dotino di risk manager professionisti, consulenti esterni che lavorino a latere di chi prende le decisioni».
«Il problema del rischio in sanità – ha continuato – non è la sua natura. Alla fine si tratta di una specifica categoria di danno che noi riusciamo a gestire e a quantificare; è la sua incertezza il reale problema. Su quello gli assicuratori si arenano, perché non hanno contezza dello spazio aleatorio: con un chief risk officer la struttura sanitaria può dare agli assicuratori i dati che servono, un coordinamento integrato e soprattutto l’assicurazione che la struttura sanitaria ha rispettato metodi e protocolli uniformemente accettati. Si tratta di un passaggio fondamentale per riportare il rischio in sanità in uno spazio in cui possa essere adeguatamente valutato».
L’intervento di Mezzopera ha confermato quanto precedentemente asserito: «Se non si interviene in anticipo si verificherà sempre quel che spiegava Coletta: le assicurazioni non sanno valutare correttamente il rischio e tendono a lasciare perdere. Deve essere allora posto al centro del nostro impegno il tema delle cure sicure, come d’altronde emerge dal dato normativo: una tale formulazione indica che non si tratta di sezionare le attività in compartimenti stagni, ma di avere appunto un approccio olistico in cui tutti i soggetti coinvolti concorrano all’idea delle cure sicure».
«La sanità italiana oggi è al quarto posto nel mondo, siamo in discesa e se ci mettiamo a copiare dagli Stati Uniti che sono al 54mo posto non andremo molto lontano. La gestione del rischio in sanità deve essere simile a quella di tante altre realtà difficili come l’aeronautica, l’energia, i trasporti: il gestore del rischio non è un operatore della sanità, è un operatore per la sanità».
Spazio anche a pareri sul fronte più specificamente legale e giurisdizionale con l’intervento dell’avvocata Napolano dello Studio Improta: «Come sappiamo ad oggi manca un provvedimento normativo specifico, che è allo studio, che ci dica come dovremo comportarci in caso eventuale di pretese risarcitorie ad argomento Covid-19. Nel frattempo io ritengo che i giudici potrebbero accedere all’uso dell’articolo 2236 del Codice Civile che ci dice che i prestatori di opera che si trovino a dover confrontarsi con un’obbligazione “di particolare difficoltà” sono chiamati a rispondere solo in caso di dolo o colpa grave; una corretta estensione di questa previsione normativa potrebbe metterci sulla giusta strada e farci considerare al meglio la complicata situazione in cui si sono trovati i medici in tempo di Covid».
«Cosa ben diversa – ha aggiunto il legale – è invece la responsabilità delle strutture sanitarie. In quel caso bisognerà provare che dal punto di vista organizzativo l’ospedale aveva adempiuto a tutti gli obblighi di tipo organizzativo e del rispetto dei protocolli di sicurezza. Ecco che questa prova – ha concluso – potrà essere data con una facilità molto maggiore se, a monte, c’è stata una corretta gestione del rischio sanitario».
Un’apertura a questa prospettiva, sebbene iniziale, è arrivata da Federico Gelli, medico e già deputato per il Partito Democratico, padre della legge sulla responsabilità professionale: «La vicenda è in effetti talmente straordinaria e l’impatto talmente forte che il magistrato potrebbe utilizzare queste norme del Codice in attesa di un intervento specifico».
«Per parte mia penso però – ha aggiunto Gelli – che ci sia urgenza di intervenire dal punto di vista legislativo su due fronti: da un lato predisponendo un fondo nazionale per indennizzi e risarcimenti che ci metta nelle condizioni di ammortizzare tutte le richieste che potrebbero arrivare. Sarà importante poi, ed è la seconda parte, che ci siano al più presto i decreti attuativi sulla parte assicurativa della legge 24 del 2017, perché altrimenti, senza un’interpretazione e un indirizzo netto, rischiamo di procedere in ordine sparso».
Redazione
Fonte
Sanità informazione. It