Il sindacato aveva contestato la deliberazione 1580 del 2019 sui percorsi formativi per l’acquisizione di competenze avanzate da parte del personale sanitario Infermieristico in quanto consentirebbe l’assegnazione di funzioni e incarichi attraverso una formazione regionale, senza tenere conto della competenza statale in materia. Ma per il Tar il provvedimento regionale non lede la posizione giuridica dei riccorenti (medici) e quindi il ricorso è inammissibile. LA SENTENZA
04 DIC – Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto boccia il ricorso della Cimo contro la deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 1580 del 29 ottobre 2019 (“Istituzione dei percorsi di formazione complementare regionale per l’acquisizione di competenze avanzate”) giudicandolo inammissibile.
La Cimo contestava il provvedimento perché a suo dire avrebbe consentito di assegnare al personale delle professioni sanitarie, previa frequentazione del corso formativo regionale, incarichi e funzioni che la normativa statale ammette solo a seguito del conseguimento di qualifica specialistica tramite percorsi formativi nell’ambito dell’ordinamento universitario (laurea magistrale, master). Per la Cimo, inoltre, il provvedimento impugnato avrebbe inciso sul riparto di competenze tra personale medico e quello delle professioni sanitarie;
Ma per il Tar il ricorso, contro cui si erano costituiti in giudizio la Regione Veneto e in ad opponendum la Fials, è “inammissibile per carenza delle condizioni dell’azione”.
Infatti, secondo il Tar, per avere diritto a opporsi a tale atto amministrativo della Regione bisogna essere nelle cndizioni di domostrare di subirne un danno diretto dalla sua applicazione e quindi, di converso, un vantaggio dal suo annullamento. Due presupposti che secondo i giudci veneti non sussistono nei confronti della Cima (sindacato medico) in quanto la professione medica “non è lesa, in via diretta ed immediata, dal
provvedimento regionale”… “né alcun concreto vantaggio potrebbe derivare ai ricorrenti medesimi dall’annullamento della deliberazione regionale gravata”.
D’altra parte, osserva il Tar, “il giudizio amministrativo non costituisce una giurisdizione di diritto oggettivo, volta a ristabilire una legalità che si assume violata, ma ha la funzione di dirimere una controversia fra un soggetto che si afferma leso in modo diretto e attuale da un provvedimento amministrativo e l’Amministrazione che lo ha emanato. In altre parole, la legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo deve essere direttamente correlata alla situazione giuridica sostanziale che si assume lesa dal provvedimento e postula l’esistenza di un interesse attuale e concreto all’annullamento dell’atto”. E “nel caso in esame non sussiste una situazione giuridica sostanziale lesa dal provvedimento gravato, né sussiste (in disparte quanto si dirà di seguito) un interesse attuale e concreto all’annullamento dell’atto”.
In linea puramente astratta, tuttavia, osservano i giudici, “nell’ambito delle complessive censure articolate in ricorso, l’interesse ad agire (e, quindi, a ricorrere) potrebbe essere configurabile esclusivamente in relazione alla doglianza con cui si afferma che il provvedimento impugnato inciderebbe sul riparto di competenze tra personale medico e quello delle professioni sanitarie”. E tale censura, osserva il Tar Veneto, “potrebbe ipoteticamente determinare una lesione della sfera giuridica di parte ricorrente, sennonché la censura risulta formulata in modo del tutto generico e indeterminato, con conseguenze sua inammissibilità “.
Fonte Quotidiano sanità. It
Redazione