Finalmente un’altra tesi partorita dall’Ufficio Legale dell’Associazione Avvocatura Degli Infermieri a favore dei lavoratori danneggiati dal mobbing, viene accolta dalla giurisprudenza.
Il caso che ha appassionato il Dott. Mauro Di Fresco chiamato a valutare un caso di mobbing di un ospedale romano che ha visto coinvolti il marito e il figlio minorenne dell’infermiera mobbizzata che, durante il colloquio preliminare avuto all’AADI per valutare la possibilità di adire le vie legali, hanno palesato sofferenze e danni conseguenza del profondo stato depressivo nel quale versa tuttora l’infermiera mobbizzata.
Secondo la tesi del Di Fresco, i parenti che convivono con la vittima di mobbing non possono esser estraniati dal processo sul presupposto che questi non siano dipendenti dell’ospedale e, quindi, la sezione lavoro del tribunale non possa decidere sulla loro posizione.
Questo è stato, infatti, contestato sia dall’ospedale romani che dall’INAIL chiamati in giudizio dinanzi la sezione lavoro del tribunale di Roma, sostenendo che i parenti del dipendente non possano chiamare in giudizio il datore di lavoro di un’altra persona, ma avrebbero dovuto promuovere una separata causa alle sezioni ordinarie del tribunale, in ossequio all’art. 409 C.P.C., che fissa la competenza del giudice del lavoro, esclusivamente per i “rapporti di lavoro subordinati privati e alle dipendenze pubbliche”.
Il giudice ha concesso termine per presentare note autorizzate sul punto che, successivamente, in sentenza, so o state accolte.
TESI ACCOLTA: Si devono considerare, nel caso di specie, le esigenze di rispettare i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e della sua ragionevole durata, sussistendo così, l’opportunità di una trattazione unitaria delle due domande attinenti il rapporto di lavoro: la prima direttamente connessa all’art. 409 C.P.C.; la seconda (quella dei parenti) in relazione all’art. 40 C.P.C. sulla connessione di cause.
Se la ricorrente principale (la mobbizzata) avesse radicato il processo dinanzi la sezione lavoro e il coniuge e il figlio dinanzi quella ordinaria, il primo comma dell’art. 40 C.P.C. avrebbe riunito, per connessione, le due cause dinanzi alla sezione lavoro.
Infatti, il primo comma, del prefato articolo, statuisce che se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragioni di connessione, possono essere decise in un solo processo, il Giudice fissa con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al Giudice della causa principale e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.
La causa principale è senza dubbio quella dell’infermiera alle dipendenze dell’ospedale perché è senz’altro preliminare al risarcimento del coniuge e del figlio, accertare se vi sia stato mobbing ai suoi danni, vertendosi non nel danno professionale, ma nei danni c.d. riflessi di natura non patrimoniale.
In assenza di mobbing, le parti secondarie non
potrebbero pretendere l’esame delle richieste risarcitorie e la loro domanda verrebbe assorbita in quella dell’an debeatur del ricorrente principale; da qui la connessione.
Il co. 4 dello stesso art. 40 c.p.c. disciplina il caso in cui le cause connesse siano soggette a riti speciali diversi, disponendosi che debbono essere trattate con il rito della causa in base alla quale viene attribuita la competenza o, in subordine, con il rito previsto per la causa di maggior valore, cioè quella che riguarda per l’appunto l’infermiera, visto che ha richiesto il risarcimento di diversi danni in via principale.
In Cass. Lav., ordinanza 21 novembre 2014 n. 24917, si stabilì che quando il medesimo soggetto vanta due rapporti diversi, uno come lavoratore e l’altro come socio di cooperativa, in caso di licenziamento illegittimo e contestuale estromissione di socio, la connessione, in forza dell’art. 40, co. 3 c.p.c., permette al giudice di lavoro di attrarre a sé anche la competenza ordinaria che riguarda il rapporto di socio.
La ratio legis sottesa la connessione, poggia sul principio di economia processuale quando più azioni giudiziarie hanno in comune i soggetti, il petitum e la causa petendi (connessione soggettiva e connessione oggettiva).
Nel caso che qui ci occupa, il petitum di tutte e tre le parti ricorrenti poggia sull’unica causa petendi: il mobbing della ricorrente principale.
La finalità dell’istituto della connessione è quella di evitare il rischio di un accertamento divergente dello stesso fatto ad opera di Giudici diversi ed il conseguente pericolo di un contrasto fra giudicati, eventi evitabili attraverso il simultaneus processus.
L’art. 40, co. 2 c.p.c. stabilisce che la connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio dopo la prima udienza, e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse.
L’eccezione sollevata dall’Ospedale e dall’INAIL, non colgono nel segno e si riducono ad un mero richiamo all’art. 40, non idoneo a manifestare la volontà di provocare lo spostamento della competenza da altro Giudice, così come prevede una eccezione di incompetenza rilevante sul piano processuale – Cass. II Civ., 7 agosto 1992 n. 9365.
Pe tali motivi non può essere accolta anche considerando che le due domande non sono autonome e distinte, ma intensamente collegate fra loro.
Per ultimo, l’art. 31 c.p.c. permette di attrarre la causa secondaria nella competenza del Giudice individuato per materia dalla causa principale. Per causa secondaria si intende quella che ha nelle domande i medesimi soggetti che si trovano nello stesso grado di giudizio, e minor importanza rispetto a quella principale.
pretesa che forma oggetto della domanda principale (Satta, Montesano e Mandrioli).
L’accessorietà si distingue dalla pregiudizialità per il fatto che riguarda domande giudiziali proposte nei confronti del medesimo convenuto.
Scopo della norma in esame è quello di rendere possibile, per vis actractiva, la trattazione contestuale della domanda principale e della domanda accessoria, risultando ciò utile per ragioni di coordinamento e di economia processuale.
Secondo Cass. Civ., Sez. III, 18 marzo 2003 n. 4007, il vincolo di accessorietà di cui all’art. 31 c.p.c., determina la vis actractiva a favore del Giudice competente per la causa principale e ricorre quando tra le domande esista un rapporto di conseguenzialità logico-giuridica tale che la pretesa oggetto della causa accessoria, pur essendo autonoma, trovi il suo titolo e la sua ragione giustificatrice nella pretesa oggetto dell’altra causa.
Per tali motivi si insiste nell’accoglimento della domanda formulata dal coniuge e dal figlio della mobbizzata.
Il 20 giugno 2022 il Tribunale Lavoro di Roma accoglieva la tesi dell’A.A.D.I. ed ora anche i parenti possono chiedere il risarcimento da mobbing ospedaliero nella stessa causa del mobbizzato.
Ora la parola alla Corte di
Appello di Roma.
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