Si fanno leggi per complicare e penalizzare la posizione di dipendente pubblico, cercando di spingere ad una privatizzazione della categoria. Poi finisce che le leggi di mercato applicate al lavoro agevolino coloro che stanno già abbastanza sereni economicamente
Leggo sempre con moltissimo interesse il «Quotidiano della P.A.», perché contiene notizie interessanti per la nostra vita di cittadini.
Non solo informa di nuove leggi e decreti, bensì anche di sentenze e regolamenti, oltre a fornire utili chiarimenti su molte situazioni.
Talvolta ci sono cose che fanno riflettere, tipo questa sentenza in cui viene sanzionata la pratica del ’sentito dire’.
Oggi, però, vorrei occuparmi di una sentenza della Corte Costituzionale contro la Regione Liguria.
Si tratta della dichiarazione d’incostituzionalità di una Legge Regionale che autorizzava infermieri ed ostetrici/che professionali ad esercitare attività intra moenia, così come fanno i medici specialisti dipendenti delle Aziende Sanitarie e/o Ospedaliere.
L’eccezione d’incostituzionalità è stata sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sul punto per il quale la materia è propria dello Stato e non delle Regioni a Statuto ordinario. Insomma, una questione di forma e non di contenuto.
Al di là delle spiegazioni giurisprudenziali — tutte legittime, per carità — quello che mi inquieta è la sperequazione tra lavoratori.
Insomma, i medici possono esercitare al di là dei luoghi e dei tempi determinati dal rapporto di lavoro, mentre altre figure (parimenti professionali) non possono. Da ciò ne deriva che i medici possono continuare a guadagnare oltre gli emolumenti contrattuali, mentre gli altri no. Ovvero, che la professione sanitaria di infermiere e/o di ostetrica/o non sia riconosciuta come tale.
Non sono infermiera, né ostetrica. Non ho parenti che esercitano tali professioni e quindi non è una difesa d’ufficio interessata.)
Suppongo che quando venne varata la riserva di legge sulla materia, infermieri e ostetrici/che non erano ancora annoverate tra le professioni per le quali ora è previsto un titolo di studio universitario, ovvero la possibilità di appartenere ad Albi o Ordini.
Tuttavia, l’occasione mi è utile per spezzare una lancia a favore di tante altre situazioni in cui viene concessa la possibilità di incrementare guadagni solo a posizioni professionali già abbastanza consolidate, come a dire che il rapporto di esclusività vale solo per i ’piccoli’.
Per esempio, ad un dipendente pubblico ’standard’ è vietato stipulare altri rapporti di lavoro, a meno che non abbia con la P.A. un contratto part-time (anche temporaneo) al cinquanta per cento dell’orario settimanale. Alcune categorie di dirigenti della P.A., invece, possono effettuare docenze universitarie e cumulare incarichi (ricordiamo tutti lo sproposito d’incarichi che aveva collezionato Mastrapasqua, vero?)
Un dipendente della P.A. (non dirigente) potrebbe essere autorizzato a svolgere una tantum altro incarico per non più di 130 ore in un anno (ovviamente fuori dell’orario di lavoro) per una remunerazione non eccedente i 5mila euro lordi annui. (Sono escluse dal divieto le attività giornalistiche ed editoriali, quelle di docenza-formazione presso altre strutture pubbliche e quelle a mero rimborso spese.)
Un docente universitario, invece, può assumere altri incarichi nei limiti del 50% della sua retribuzione annuale lorda.
Un docente di scuola superiore può svolgere attività per le professioni che richiedono un’iscrizione ad Albi e/o Ordini.
Dei medici abbiamo detto.
Insomma, man mano che si sale nella scala delle retribuzioni pubbliche il divieto d’incompatibilità, ovvero di svolgere attività esterne si affievolisce.
No good.
Devo confessare che non comprendo la ratio di tutto ciò. Posso comprendere il conflitto d’interesse (del tipo lavorare all’INPS e contemporaneamente fare l’avvocato per i ricorsi contro l’INPS), ma non comprendo perché un usciere che sia anche laureato in architettura (professione in fortissimo soprannumero in Italia) non possa arrangiarsi.
Ovvero, un applicato di segreteria che magari abbia studiato da interprete e traduttore e tenti di ricavarci qualcos’altro.
La morale è che si fanno leggi per rendere sempre più complicato e penalizzante l’essere dipendente pubblico (di quelli che non superano i 26mila euro annui, che hanno mutui e famiglie da mantenere), cercando di spingere la categoria ad una sempre maggiore privatizzazione (licenziabilità immediata, annessa) e poi finisce che le leggi di mercato applicate al lavoro agevolino coloro che stanno già abbastanza sereni economicamente.
Della serie ‘i soldi cercano compagnia’.
Bah.
Fonte orticalab.it
Relazione NurseNews.eu