In Italia mancano all’appello 30.000 medici e 250.000 infermieri. Il dato emerge dal 18° Rapporto Sanità del Crea Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità) dell’Università di Roma Tor Vergata presentato oggi. Il documento spiega che se si volesse colmare il gap di questi professionisti sanitari “considerando prudenzialmente come riferimento gli standard riferiti alla popolazione generale e mantenendo le attuali retribuzioni medie, sarebbe necessario aumentare la spesa corrente del Ssn di 30,5 mld di euro.
“Malgrado le significative immissioni di personale – si legge nel Rapporto – l’Italia continua a disporre di un numero di infermieri rispetto alla popolazione notevolmente inferiore agli altri Paesi europei: 5,7 infermieri per 1.000 abitanti in Italia, contro i 9,4 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Ne segue che nel SSN italiano operano 1,42 infermieri per ogni medico, contro i 2,52 dei paesi europei presi come riferimento. Per raggiungere lo standard dei Paesi citati, sarebbero quindi necessari quasi 224.000 infermieri, che diventerebbero oltre 320.000 usando come riferimento la popolazione over 75 (quella più bisognosa di assistenza). Per quanto concerne i medici, l’Italia ne risulta avere 3,9 ogni 1.000 abitanti, contro i 3,8 dei Paesi europei di riferimento; se però ci si riferisce agli over 75, il valore italiano si attesta a 34,3 ogni 1.000 anziani, contro i 38,5 dei Paesi di riferimento: con riferimento alla popolazione anziana, anche per i medici si evidenzierebbe una carenza di quasi 30.000 unità. Un primo dato incontrovertibile è che se si volesse colmare il gap (considerando prudenzialmente come riferimento gli standard riferiti alla popolazione generale) di professionisti sanitari (infermieri e medici) descritto, mantenendo le attuali retribuzioni medie, sarebbe necessario aumentare la spesa corrente del SSN di 30,5 mld di euro, ovvero del 24,0%. Il gap rispetto all’EU-Ante 1995 si ridurrebbe al -30,3%. Sebbene si tratti di un volume di spesa corrente significativo, la cui disponibilità, come precedentemente argomentato, non è affatto scontata, il problema è altro e travalica il tema delle risorse economiche”.
Mangiacavalli (Fnopi): “I dati Crea confermano sia la validità delle proposte della nostra Federazione, sia il fatto che lo sviluppo dell’infermieristica rappresenti un tassello importante per evitare la crisi del Servizio sanitario pubblico”
Secondo il Rapporto Sanità Crea 2023, per sviluppare il territorio secondo il PNRR servono tra i 40mila e gli 80mila infermieri, ma trovarli al momento attuale appare diffide: l’attrattività della professione è bassa e solo l’1% degli studenti sceglie questo corso di laurea contro una media del 3% negli altri paesi Ue. Ecco quali sono le principali cause: la retribuzione, il 40% in meno della media di quelle dei paesi europei nonostante l’enorme mole di lavoro a cui sono sottoposti gli infermieri e che con la pandemia è chiaramente sotto gli occhi di tutti; pochi posti messi a bando nelle università per la laurea in infermieristica rispetto alla quale l’Italia è nella basse posizioni nella classifica dei Paesi OCSE e uno sviluppo di carriera limitato. La carenza non si riesce a colmare nemmeno con infermieri che provengono per le vie regolari dall’estero, visto che in Italia questa forza lavoro si ferma al 4,8% contro il 25,9% della Svizzera o il 15,4% del Regno Unito e l’8,9% della Germania. Il Rapporto Crea va oltre: per raggiungere lo standard dei maggiori paesi UE, sarebbero paradossalmente necessari quasi 224.000 infermieri, che diventerebbero oltre 320.000 usando come riferimento la popolazione over 75, la più bisognosa di assistenza, oltre a rivedere i livelli retributivi, sarebbe il caso di ripensare lo skill mix. Si deve ripensare infatti non solo ai ruoli di medici e infermieri ma anche a quello che coinvolge infermieri e operatori socio-sanitari, alla luce della crescente importanza della non autosufficienza e della conseguente sovrapposizione di bisogni sanitari e sociali
«Il Rapporto conferma l’allarme che da tempo la nostra Federazione sta lanciando – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche – con la sua analisi avvalora ancora di più le soluzioni che abbiamo proposto. Per aumentare l’attrattività della professione si deve prevedere nei Lea (livelli essenziali di assistenza) la branca specialistica assistenziale per dare uniformità di prestazioni a livello regionale e nazionale, con l’istituzione delle competenze specialistiche degli infermieri; deve essere valorizzata la formazione infermieristica negli atenei, con l’istituzione di lauree magistrali a indirizzo clinico e scuole di specializzazione; va riconosciuta nel sistema di remunerazione la specificità del ruolo svolto dagli infermieri professionisti nelle organizzazioni sanitarie».
Mangiacavalli sottolinea la necessità di una «valorizzazione di tipo giuridico e professionale della professione, rispetto all’evoluzione delle competenze e ai livelli stipendiali». «È necessario – sostiene Mangiacavalli -attivare strumenti giuridici come il superamento del vincolo di esclusività per consentire una modalità di lavoro più agile agli infermieri dipendenti che sono la maggioranza di quelli attivi nel nostro paese. Si devono prevedere livelli differenziati per un’abilitazione specialistica, ad esempio, verso competenze e attività come la prescrizione di presidi e ausili per l’assistenza infermieristica, Cosa questa che in altri Paesi UE già avviene da tempo. Ha ragione il Rapporto CREA – conclude la presidente FNOPI -: senza riforme e crescita il Ssn è sull’orlo della crisi. Lo sviluppo di una nuova professione infermieristica, come dimostrano i dati, rappresenta sicuramente un forte stimolo perché questo non debba accadere».
Redazione NurseNews.eu
Fonte Panoramasanita.it