Sono scesi ieri in piazza a Roma, davanti alla sede del ministero dell’università e della ricerca, gli «specializzandi». È il brutto nome dato ai medici già laureati che proseguono la formazione specifica per le varie aree mediche. La manifestazione, a cui hanno partecipato in diverse centinaia, mirava a portare all’attenzione della ministra Anna Maria Bernini il malcontento per le condizioni di lavoro e per la mancanza di tutele degli specializzandi. In Italia sono quarantottomila e, con la carenza di dottori nel servizio sanitario pubblico, meritano qualche attenzione in più.
«In Germania, Regno Unito e Spagna, gli specializzandi sono inquadrati con contratti di formazione-lavoro. In Italia, invece, siamo retribuiti con borse di studio come gli studenti, con tanti doveri e pochi diritti» spiega al manifesto Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale dell’Anaao Giovani, che raccoglie gli specializzandi del principale sindacato tra gli ospedalieri. È anche la sigla che ha convocato il sit-in di ieri insieme all’«Associazione Liberi Specializzandi» e ai «Giovani Medici per l’Italia».
Non essendo considerati lavoratori, per gli specializzandi le tutele sindacali sono ridotte al minimo e anche la paga è sottile, soprattutto se si vive in città come Roma o Milano. «La borsa di studio ammonta a 1641 euro al mese – racconta Liuzzi – ma vanno detratti circa duemila euro annui di tasse universitarie per lezioni che spesso nemmeno vengono tenute, l’assicurazione, l’iscrizione all’ordine e altre spese. Alla fine rimangono circa 1300 euro netti, con cui è difficile pagare un affitto in una grande città. E con la pandemia non è cambiato nulla, nonostante le pacche sulle spalle».
L’inquadramento degli specializzandi influisce anche sul servizio ai pazienti. Per legge possono formarsi solo nei policlinici universitari, al seguito di associati e ordinari. Con il risultato che in certi reparti ci sono dieci specializzandi per posto letto – ridotti a «tappabuchi» per mansioni ripetitive e poco formative – mentre in altri, dove la forza lavoro in formazione potrebbe svolgere un ruolo prezioso, gli specializzandi non possono lavorare. Così diventa necessario ricorre ai cosiddetti «gettonisti», medici forniti da società
Specializzandi in piazza: riforma subito o sciopero
UNIVERSITÀ. La protesta dei giovani medici. In Italia sono retribuiti con borse di studio: «Tanti doveri e pochi diritti»
Sono scesi ieri in piazza a Roma, davanti alla sede del ministero dell’università e della ricerca, gli «specializzandi». È il brutto nome dato ai medici già laureati che proseguono la formazione specifica per le varie aree mediche. La manifestazione, a cui hanno partecipato in diverse centinaia, mirava a portare all’attenzione della ministra Anna Maria Bernini il malcontento per le condizioni di lavoro e per la mancanza di tutele degli specializzandi. In Italia sono quarantottomila e, con la carenza di dottori nel servizio sanitario pubblico, meritano qualche attenzione in più.
«In Germania, Regno Unito e Spagna, gli specializzandi sono inquadrati con contratti di formazione-lavoro. In Italia, invece, siamo retribuiti con borse di studio come gli studenti, con tanti doveri e pochi diritti» spiega al manifesto Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale dell’Anaao Giovani, che raccoglie gli specializzandi del principale sindacato tra gli ospedalieri. È anche la sigla che ha convocato il sit-in di ieri insieme all’«Associazione Liberi Specializzandi» e ai «Giovani Medici per l’Italia».
Non essendo considerati lavoratori, per gli specializzandi le tutele sindacali sono ridotte al minimo e anche la paga è sottile, soprattutto se si vive in città come Roma o Milano. «La borsa di studio ammonta a 1641 euro al mese – racconta Liuzzi – ma vanno detratti circa duemila euro annui di tasse universitarie per lezioni che spesso nemmeno vengono tenute, l’assicurazione, l’iscrizione all’ordine e altre spese. Alla fine rimangono circa 1300 euro netti, con cui è difficile pagare un affitto in una grande città. E con la pandemia non è cambiato nulla, nonostante le pacche sulle spalle».
L’inquadramento degli specializzandi influisce anche sul servizio ai pazienti. Per legge possono formarsi solo nei policlinici universitari, al seguito di associati e ordinari. Con il risultato che in certi reparti ci sono dieci specializzandi per posto letto – ridotti a «tappabuchi» per mansioni ripetitive e poco formative – mentre in altri, dove la forza lavoro in formazione potrebbe svolgere un ruolo prezioso, gli specializzandi non possono lavorare. Così diventa necessario ricorre ai cosiddetti «gettonisti», medici forniti da società esterne a costi elevatissimi.
Lo squilibrio si riproduce anche nello stesso ospedale, spiega il responsabile Anaao Giovani. «Uno specializzando, magari al quarto anno di medicina interna, non può fare turni di pronto soccorso. Nel frattempo gli urgentisti fanno turni massacranti e i turni scoperti si coprono con i medici a partita Iva a settecento euro al giorno. E non è detto che un gettonista assunto da una cooperativa sia più qualificato di uno specializzando».
Dal ministero si ostentano disponibilità al dialogo e rassicurazioni. Un gruppo di tecnici al lavoro sulla riforma delle scuole di specializzazione ha ricevuto una delegazione dei manifestanti. «Tra i temi all’ordine del giorno: la valutazione del fabbisogno di specializzandi dei prossimi anni, le linee generali del concorso di ammissione alle Scuole, lo scorrimento delle graduatorie, l’esigenza di effettuare scelte basate sulla vocazione e non sulla necessità» fa sapere il ministro. L’obiettivo «è arrivare a scrivere le basi di una organica riforma delle Scuole attesa da anni».
Un primo risultato per il reclutamento di nuovi medici è già stato incassato con quattromila studenti in più ammessi da quest’anno nelle facoltà di medicina, ma non l’abolizione del numero chiuso che rimane un tabù. Gli specializzandi reclamano un posto stabile al tavolo in cui si scrive la riforma e minacciano: «Se non arriverà in tempi brevi sarà sciopero».
Redazione NurseNews.eu
Fonte il mattino