Il 26 febbraio 2014, lo studio RN4CAST è stato pubblicato su “The Lancet”. Questa ricerca ha condotto un’indagine statistica coinvolgendo 422.730 pazienti e 300 ospedali in 9 Paesi europei, tra cui Belgio, Inghilterra, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera, con un totale di 26.516 infermieri. I risultati hanno chiaramente indicato l’importanza di mantenere sotto controllo il rapporto pazienti/infermieri e il carico di lavoro, evitando tensioni eccessive.
Sfortunatamente, sembra che questi dati siano in conflitto con le politiche di austerità adottate in molti Paesi. In questi contesti, la disponibilità di infermieri e le relative spese rappresentano un forte incentivo per le revisioni della spesa e il risparmio.
Quest’anno, l’Italia si unirà al Consorzio Europeo dei Paesi partecipanti al progetto.
È importante sottolineare che questa iniziativa non è istituzionale, ma è stato il risultato della forte volontà del sindacato di categoria Nursind. Questo sindacato ha sostenuto un programma dedicato presso l’Università di Genova, contribuendo finanziariamente alla ricerca della professoressa Loredana Sasso, direttrice del Progetto, e al suo gruppo di collaboratori.
Attualmente, in Italia, il sistema di approvvigionamento delle risorse infermieristiche è basato sul sistema normativo in vigore.
Oggi, i criteri di assegnazione degli infermieri alle Unità Operative presentano diverse specificità, basate sulla giurisprudenza regionale, ma spesso mancano dell’adeguato aggiornamento per rispondere alle nuove esigenze di assistenza richieste dai pazienti e dalle strutture sanitarie.
La determinazione della stima delle risorse del personale infermieristico ha visto una prima analisi nel lontano 1969 con il DPR 128, che, in modo generico e non scientifico, cercava di fornire un numero adeguato di infermieri per i reparti ospedalieri, basandosi sulla prestazione infermieristica in termini di tempo, senza considerare le molte variabili coinvolte nel processo di assistenza. Nel 1972, vi fu il trasferimento di molte competenze sanitarie alle Regioni, consentendo a ciascuna di adottare strategie diverse. Successivamente, la Legge Quadro sul pubblico impiego e una delibera CIPE nel 1984 creano ulteriori inefficienze nella stima degli standard di personale ospedaliero.
Nel settembre del 1988, il Ministro della Sanità Donat Cattin emise un decreto che propose metodiche per la revisione delle strutture organizzative, introducendo il concetto di adattare le risorse umane alla complessità dell’assistenza sanitaria per la prima volta (vedi tabella 1 “Organico secondo il Decreto del Ministro della Sanità Donat Cattin”). Questo decreto si avvicinava alle esigenze richieste ma metteva particolare enfasi sull’allocazione delle risorse nei reparti dedicati alle terapie intensive.
Negli anni ’90, con il Decreto n. 502/1992, intitolato “Riordino della disciplina in materia sanitaria,” si ribadì alle regioni l’importanza del loro coinvolgimento e competenza nel controllo dei criteri per definire le dotazioni organiche.
Se dovessimo confrontare i tre principali pilastri della discussione, ovvero il DPR 128, la delibera CIPE e il DM 13/09/88, otterremmo una revisione del numero di infermieri, considerando non solo il fattore “tempo” nell’assistenza, ma anche tutti gli altri elementi che influenzano il dinamico processo di lavoro degli infermieri in un’azienda sanitaria. Questi fattori aggiuntivi includono malattie, infortuni, congedi, orario contrattuale settimanale e festività.
In metodologie straniere, il reclutamento del personale infermieristico si basa sul tempo, sulle esigenze globali dei pazienti, sul loro grado di dipendenza e sulla complessità dell’assistenza richiesta.
È attualmente possibile quantificare il personale infermieristico basandosi sul parametro del tempo e misurando le prestazioni in modo cronometrico? E cosa fare se si verificasse un imprevisto durante l’assistenza?
Si può intuire la necessità di sviluppare una nuova piattaforma logistica che vada oltre la tradizionale normativa e adotti un approccio deduttivo anziché induttivo. Un organico adeguato è fondamentale per garantire un’eccellente erogazione di cure sanitarie.
Migliorare la qualità e l’oggettività dei bisogni della comunità rappresenta un elemento fondamentale per garantire il patto di salute che si instaura tra un professionista sanitario, come l’infermiere, e l’utente. L’analisi dei bisogni diventa cruciale per catalogare in modo accurato sia la qualità che la quantità delle risorse necessarie per affrontare il processo di assistenza all’interno delle strutture sanitarie.
In Italia, un metodo snello frutto di vari studi, tra cui uno multicentrico condotto presso l’Azienda Ospedaliera di Monza, è il S.I.P.I. (Sistema Informativo della Performance Infermieristica). Questo sistema utilizza una scheda per rilevare i bisogni del paziente, analizzando 8 aree di prestazioni infermieristiche. Queste aree, accuratamente registrate nella Cartella Infermieristica, rendono visibile l’intero processo di assistenza infermieristica, valutando le prestazioni degli infermieri nell’ambito della presa in carico del paziente. Sebbene sia un sistema facile da applicare e che offre una traccia inequivocabile dell’assistenza erogata 24 ore su 24, non copre completamente la complessità assistenziale e la quantificazione del personale.
Un altro metodo, in linea con quanto appena descritto, è il M.A.P. (Metodo Assistenziale Professionalizzante). Questo metodo, anch’esso derivato da numerosi studi a livello nazionale, differisce dal precedente in quanto si basa su un modello di prestazioni molto più ampio, che comprende non più solo 8 aree ma ben 60. Il M.A.P., grazie alla sua ampia osservazione delle diverse classi di complessità dei pazienti, poggia su tre modelli di riferimento: quello Concettuale, legato alla moderna organizzazione delle prestazioni e all’analisi della complessità assistenziale; quello Tassonomico ICF (International Classification Functioning); e infine il modello Teorico, strettamente correlato alla teoria della complessità. Il M.A.P. consente di quantificare il numero di infermieri in base alla complessità assistenziale rilevata. Sebbene richieda uno sforzo maggiore rispetto al S.I.P.I., la scheda del M.A.P. rappresenta lo standard d’oro per tracciare in modo analitico il processo assistenziale erogato, tenendo conto sia delle variabili contestuali che di quelle relazionali che influenzano il lavoro infermieristico.
La scelta tra i metodi sopra menzionati è purtroppo complessa e influenzata da diversi fattori. Non è semplice optare per un metodo piuttosto che un altro, poiché variabili come le politiche locali, i finanziamenti aziendali, le competenze gestionali, la selezione del personale e la visione dell’organizzazione possono – ahimè – ostacolare questa scelta. Inoltre, non possiamo trascurare un passaggio cruciale e rivoluzionario, cioè l’inversione demografica che caratterizzerà il prossimo ventennio. Questa inversione vedrà il nostro Paese con un eccesso di pediatri e una carenza di geriatri, creando una sfida finanziaria inevitabile a causa dell’aumento delle condizioni croniche e delle comorbilità.