Il dipendente ha diritto alla reintegra e al risarcimento perché il calcolo delle assenze non può essere uguale a quello dei lavoratori non portatori di handicap
Il lavoratore disabile licenziato per superamento del periodo di comporto va reintegrato e risarcito in quanto il calcolo delle assenze non può essere uguale a quello dei dipendenti non portatori di handicap.
Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza 31 maggio 2024, n. 15282 (testo in calce).
Il caso
La Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad un lavoratore disabile, a causa di assenze per malattia, così come previsto dall’art. 4 CCNL Federculture. Ad avviso del giudice di merito, le assenze per malattia in discussione erano riconducibili alle evidenti disabilità dell’uomo, per cui era configurabile una discriminazione indiretta nell’applicazione al medesimo dello stesso periodo di comporto previsto per un soggetto non affetto da handicap. Inoltre, la datrice di lavoro, ai sensi dell’
art. 3, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 216 del 2003, al fine di evitare la discriminazione indiretta, avrebbedovuto adottare misure adeguate, come la sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all’handicap essendo a conoscenza dello status di invalidità del lavoratore.
Per la cassazione di tale sentenza la datrice di lavoro ha proposto ricorso, mentre l’intimato ha resistito con controricorso.
La decisione
Nell’esaminare il caso in oggetto, la Suprema Corte ha rammentato che, secondo la
direttiva 78/2000/CE e dell’art. 3, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 216 del 2003, il fattore soggettivo dell’handicap non è ricavabile dal diritto interno ma unicamente dal diritto dell’Unione Europea. Secondo la Corte di Giustizia, nella nozione di “handicap”, di cui alla direttiva 2000/78, deve essere inclusa una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, che possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata.
Nel caso de quo, sulla scorta della documentazione in atti e del giudizio di invalidità civile formulato dall’INPS, la Corte territoriale ha accertato che le disabilità di cui è affetto il lavoratore costituiscono una menomazione fisica tale da poter ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Detto accertamento non è suscettibile di sindacato innanzi alla Corte di legittimità.
Invero, ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, la sentenza impugnata è conforme a principi affermati dalla Corte di legittimità che, in coerenza con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha chiarito che il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell’assetto dei diritti ed obblighi in materia, per cui l’applicazione del periodo di comporto breve come per i lavoratori non disabili, costituisce una condotta datoriale indirettamentediscriminatoria e, perciò, vietata.
Dunque occorre bilanciare l’interesse del lavoratore disabile con la legittima finalità di politica occupazionale, la contrattazione collettiva, per evitare trattamenti discriminatori, tenendo conto della posizione di svantaggio del disabile.
Non basta una disciplina negoziale che valorizzi solo il profilo oggettivo della astratta gravità della patologia, dovendo esser considerato anche e soprattutto l’aspetto soggettivo della disabilità in relazione alla quale adottare gli accomodamenti ragionevoli prescritti dalla Dir. 2000/78/CE e dall’art. 3 comma 3-bis D.Lgs. n. 216/2003. Difatti, anche la patologia non grave, ma in collegamento causale diretto e immediato con la disabilità, comporta per il lavoratore disabile l’applicazione di una particolare protezione stabilita dalla normativa internazionale, euro-unitaria e statale.
Con l’art. 3, comma 3 bis, D.Lgs. n. 216 del 2003, il legislatore nazionale ha imposto ad ogni datore di lavoro privato e pubblico, di adottare delle misure adeguate, ragionevoli; ad esempio, prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro ha l’onere di acquisire informazioni sulla eventualità che le assenze del lavoratore siano connesse ad uno stato di disabilità e per valutare, quindi, gli elementi utili al fine di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli per evitare il recesso dal rapporto.
Inoltre, nel caso di licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto, occorre l’interlocuzione ed il confronto tra le parti, “per verificare l’adempimento o meno dell’obbligo legislativamente imposto dal comma 3-bis”;difatti il comportamento che dovrebbe tenere il datore di lavoro si caratterizza non solo in senso negativo, per il divieto di comportamenti” discriminatori, “quanto piuttosto per il suo profilo di azione, in positivo, volto alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa” al disabile.
Invero, il datore è chiamato a provare di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, che eviti il licenziamento, considerando ogni circostanza rilevante nel caso concreto.
Sulla scorta di tali considerazioni, ad avviso della Cassazione è corretto l’assunto della Corte territoriale che, una volta ritenuto che la società seppur “a conoscenza (…) dello status di invalidità accertato in capo al lavoratore” , non si eracomunque attivata per “richiedere informazioni al lavoratore”; tale condotta è discriminatoria e non è giustificata la mancata adozione di accomodamenti ragionevoli e l’applicazione al lavoratore disabile dello stesso periodo di comporto previsto per i lavoratori non disabili.
Per tali motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Redazione Nurse News.eu
Fonte altalex. com