“Quando lui se n’è andato ho deciso di fare questa battaglia per avere un bimbo che avesse i suoi occhi e il suo nome. I ricorsi mi hanno fatto perdere tanti anni. Ora ne ho 50 e i dubbi vengono anche a me. Ma la voglia di maternità è forte”
“UN BAMBINO l’abbiamo voluto, inseguito, sognato tutti e due per anni. E se adesso finalmente nascerà lo chiamerò come mio marito, perché è il frutto del nostro amore. Di una storia, di un legame che per me dura ancora oggi. Anche se lui non c’è più, anche se sono rimasta vedova, sola a crescere un figlio che spero gli somigli”. Margherita ha 50 anni e nonostante il pudore, la voglia di anonimato che la porta a nascondersi dietro un nome di fantasia, ha la voce squillante di chi sente di aver riconquistato uno spicchio di futuro, un’ipotesi di vita diversa, l’idea di una famiglia che credeva perduta per sempre. Nelle strade del paesino emiliano dove vive e lavorare l’aria è fredda, tersa mentre anche lei cerca di schiarirsi le idee. Troppe emozioni, rivolgimenti di fronte e la vittoria grazie al l’avvocato bolognese Boris Vitiello, esperto in diritto sanitario, sono venuti a scombussolare giorni tutti uguali, casa e lavoro.
Ora potrà diventare madre
“Ancora non ci credo, dopo sentenze che mi avevano dato torto, dopo delusioni e porte sbattute, finalmente hanno riconosciuto quello che per me era ovvio: quegli embrioni congelati da 19 anni, frutto della fecondazione assistita, di gameti miei e di mio marito, sono nostri e quindi ho il diritto di impiantarli, come dice la legge 40, per diventare anche io una mamma”.
Una decisione che arriva tardi?
“Avevo chiesto l’impianto tre anni fa, se mi avessero dato subito il via libera dall’ospedale e tutto fosse andato bene, oggi il piccolino avrebbe già tre anni. Potrei raccontargli che persona speciale era il suo papà e di quanto avrebbe voluto conoscerlo, e invece mi ritrovo a pensare se e come affrontare una gravidanza con mezzo secolo sulle spalle”.
Figlio frutto di una lungo amore?
“Con mio marito ci siamo incontrati che io avevo 30 anni e lui sessanta. Io facevo come oggi la commerciante e lui era appena andato in pensione lasciando le aule dove per anni aveva insegnato con passione materie classiche.
È stato subito un rapporto vero, profondo, tanto che ci siamo ritrovati in poco tempo a volere mettere su casa e famiglia, a cercare un figlio. che purtroppo non è arrivato”.
Allora si è rivolta alla scienza?
“Si abbiamo fatto la fecondazione assistita all’ospedale SantOrsola a Bologna. Per mesi le nostre giornate sono state piene di ansia, paura, speranza mentre affrontavamo assieme tutta la trafila, dalle stimolazioni ormonali all’impianto degli embrioni. Ma ogni volta è stata una delusione: non attecchivano, non riuscivo proprio a rimanere incinta, non so perché, non l’ho mai saputo. Era la fine degli anni ’90 quando abbiamo smesso di cercare di diventare genitori. Convinti fosse solo una pausa, una parentesi”.
Perché dal 2000 ha smesso di tentare?
“Mio marito si è ammalato e abbiamo cominciato a rimandare. Avevamo fatto congelare gli embrioni, ogni anno confermavano all’ospedale la nostra scelta, perché eravamo convinti: essere genitori era un obiettivo, un desiderio, una speranza solo rimandata”.
Embrioni congelati per guadagnare tempo?
“La crioconservazione ci dava l’illusione di avere altre occasioni e tempo davanti a noi per diventare mamma e papà, speravamo sempre che un domani le cose sarebbero andare meglio, che lui sarebbe finalmente guarito. Così non è stato. Gli embrioni sono rimasti, mio marito non c’è più”.
Dieci anni persi nell’attesa?
“Gli anni sono passati senza quasi ce ne accorgessimo, volevamo un figlio ma la realtà era che mio marito stava sempre peggio, aveva sempre più bisogno di cure, attenzioni. Non avrei potuto dedicarmi ad altro. E forse non volevo neanche, lui era veramente tutto per me. Io ho sempre avuto la sensazione di essere nata il giorno in cui l’ho conosciuto, di essere cresciuta grazie a lui e quando è morto nel 2011 mi sono sentita persa. Lui per me era stato amante, marito, il padre che non ho avuto, tutta la mia famiglia visto che non ho fratelli”.
Ha cercato un figlio per ritrovare suo marito?
“Quando è morto sono andata in ospedale per farmi impiantare gli embrioni e l’ho pensato come una continuazione, una simbolo concreto della nostro amore. Io ho sempre mio marito nel cuore, lui vive dentro di me, avrei voluto rivederlo negli occhi del nostro bambino. Ne avevamo parlato tanto, lui avrebbe voluto studiasse materie artistiche”.
E ora che farà?
“Quando ho chiesto l’impianto all’ospedale avevo 46 anni, da allora alcune cose sono cambiate. Non sto bene di salute e soprattutto sono combattuta, vedo le cose in maniera più razionale. Se da un lato il desiderio di maternità è sempre molto forte, dall’altro mi domando cosa realmente posso offrirgli a quel bambino: io, da sola con le mie stanchezze. Dopo il rumore di questi giorni ho bisogno di silenzio per far chiarezza dentro di me. Con un’unica certezza, se nascerà si chiamerà come mio marito”.
Fonte
Repubblica.it