di Francesco Machina Grifeo
Non può essere licenziato, con la motivazione di aver abbandonato il posto di lavoro, il cardiologo che durante il turno di notte non risponda al cercapersone, ma che il mattino seguente passi regolarmente le consegne al collega. Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza 16 gennaio 2017 n. 856, affermando che era onere del datore di lavoro provare che il medico non si trovasse all’interno della struttura.
La “versione” dei giudici di primo grado
La Corte d’Appello di Milano aveva già bocciato il reclamo proposto contro la sentenza del Tribunale che aveva accolto l’impugnativa di un medico del Centro cardiologico Monzino IRCCS, contro il licenziamento intimatogli per aver abbandonato il posto di lavoro durante il turno di notte. Per il giudice di primo grado infatti non avere risposto al cercapersone ove era stato interpellato durante il turno, non configurava il contestato abbandono del posto di lavoro (previsto dalla lettera f) dell’articolo 11 del Ccnl), «ma al più la sospensione del lavoro senza giustificato motivo, sanzionabile con la sospensione». E questo perché «per “abbandono” si dovrebbe intendere il fatto del sanitario che abbandona la struttura recandosi all’esterno e diventando irreperibile nell’ambito del turno assegnato, ciò che non era avvenuto in quanto la mattina del 2 settembre il dottore aveva passato le consegne al medico del turno diurno, e durante la notte precedente non era stato cercato presso il locale messo a disposizione dei medici di turno, ove in altra occasione era stato reperito».
Le motivazioni della Suprema corte
Nel ricorso di legittimità, invece, l’ospedale ha sostenuto che l’ipotesi per cui il medico nella notte tra l’1 e il 2 settembre sia rimasto nella stanza che il centro adibisce a riposo dei medici «è rimasta del tutto sfornita di prova, né sarebbe sufficiente a provarlo il ragionamento presuntivo operato dalla Corte territoriale». Per i giudici di Piazza Cavour però un simile motivo sollecita «un’inammissibile inversione dell’onere della prova in quanto, considerato che incombe al datore di lavoro dimostrare la fondatezza dell’addebito, sarebbe stato suo onere dimostrare che il medico non solo non aveva risposto al cercapersone e non era presente in reparto, ma che si era allontanato dalla struttura, così realizzando I’“abbandono” del posto di lavoro secondo l’accezione che ne ha dato la Corte di merito».
Mentre con riferimento alla nozione tecnica di «abbandono» del posto di lavoro la Corte richiama un proprio precedente (n. 15441/2016) in cui, con riferimento al Ccnl Istituti di vigilanza privata del 2 maggio 2006, si affermava che «I’abbandono individua il totale distacco dal bene da proteggere, totale distacco che non ricorre quando la persona sia fisicamente reperibile nel luogo ove la prestazione dev’essere svolta, così avvalorando indirettamente la nozione di “abbandono” del posto di lavoro adottata dalla Corte territoriale». Né vale l’ulteriore motivo che tende ad avvalorare la violazione di una «procedura» standard, in quanto, conclude la sentenza, «anche il fatto che normalmente si proceda alla ricerca telefonica del medico di turno non sarebbe in contraddizione con la conclusione secondo la quale l’abbandono del posto di lavoro contestato al medico possa aversi soltanto quando non dia esito neppure la ricerca fisica nei luoghi destinati alla permanenza notturna».
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