Il decreto Madia é
entrato in vigore il 22 Giugno 2017, riforma del lavoro pubblico, dlgs 25 maggio 2017, n. 75 (GU 130 del 7/6/2017), che nel quadro della più ampia delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (L n. 124/2015) punta all’obiettivo dichiarato di ridurre il precariato nella Pa.
Secondo le stime del Governo il «piano straordinario di stabilizzazione» interesserà, nel triennio 2018-2020, circa 50 mila precari contribuendo a ridurre, nel breve periodo, i rischi di una nuova condanna in sede europea a fronte di un eccessivo ricorso a forme di lavoro flessibile.
A tal fine il legislatore delegato ha tracciato due percorsi principali: stabilizzazione di dipendenti in possesso di almeno tre anni di anzianità di servizio, anche non continuativi negli ultimi otto, e procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, ai precari della PA.
In particolare, l’art. 20, co. 1, del decreto legislativo, rubricato “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”, consente alla pubbliche amministrazioni di assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge delega n. 124 del 2015 – ovvero al 28.08.2015 – con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) al 31 dicembre 2017 abbia maturato alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
Questa prima procedura non prevede alcun tipo di selezione eppure le Amministrazioni potrebbero esser costrette ad adottarle qualora le risorse finanziare non siano capienti per l’assunzione di tutti i precari in possesso dei requisiti di legge. In tale evenienza, dovranno esser individuati criteri suppletivi rispetto alla mera anzianità di servizio, i quali tengano conto dell’esigenza espressa dal legislatore di “valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”.
Su di un altro fronte si muove il secondo comma della norma citata, ai sensi del quale le amministrazioni potranno bandire procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti titolare, successivamente alla successivamente al 28.08.2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.
La formulazione della norma, richiamando i contratti di lavoro flessibile, è abbastanza ampia da includere tanto i dipendenti con contratto a termine quanto i lavoratori somministrati e i collaboratori coordinati e continuativi.
Le misure sperimentali introdotte dal decreto legislativo non sanciscono un diritto alla stabilizzazione, posto che l’effettiva immissione nei ruoli dell’Amministrazione potrà esser disposta, nel triennio 2018-2020, sempre in conformità al piano triennale dei fabbisogni ed entro i vincoli di finanza pubblica.
Proprio in tema di risorse soccorre il terzo comma del citato art. 20, consentendo di finanziare il piano di stabilizzazione utilizzando i fondi destinati al lavoro flessibile, pari al 50% della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009 ex art 9, co. 28, dl 78/2010, a condizione di prevedere definitivamente in bilancio la decurtazione del tetto di spesa di cui al predetto articolo 9, previa certificazione della sussistenza delle risorse da parte dell’organo di controllo interno.
Nelle more del completamento delle procedure di stabilizzazione, le Amministrazione potranno prorogare i contratti di lavoro dei soggetti interessati alle procedure medesime, dando così continuità alle attività per le quali sono stati assunti, nei limiti delle risorse utilizzabili per le assunzioni a tempo indeterminato. Allo stesso tempo, non potranno instaurare nuovi rapporti di lavoro flessibile.
Nella prospettiva di lungo periodo, al fine di impedire il riformarsi di fenomeni più o meno estesi di precariato, l’intervento legislativo prescrive che le assunzioni a regime vadano misurate sui «fabbisogni di personale» che i diversi enti pubblici dovranno individuare seguendo scrupolosamente le “linee di indirizzo” della Funzione pubblica. Andranno dunque in pensione le piante organiche che per anni hanno governato la programmazione delle assunzioni e che oggi vengono additate come troppo rigide e inadeguate a fotografare i fabbisogni delle PA.
Seppure la riforma sarà consentirà il superamento del precariato di contro lascerà in eredità un Pubblica Amministrazione non ringiovanita, con un sistema di reclutamento che non conosce e riconosce la figura del selezionatore professionista ed è poco incline a cogliere le potenzialità del candidato, sottovalutando che gli unici attori dell’ammodernamento richiesto dall’attuale contesto socio-economico sono le persone, non le regole.
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