In merito alla ventilata possibilità di equiparare le due professioni, interviene il segretario nazionale del Coas Medici dirigenti, Alessandro Garau: “Di fronte a questa ipotesi noi siamo decisamente contrari”.
ROMA 9 Novembre 2017- “Da almeno nove anni (dal Febbraio 2008) si intrecciano e si inseguono le voci della trasformazione dei Collegi infermieristici in organizzazioni legate ad un ordine esattamente come per altre Professioni : Avvocati, Architetti, Medici. L’ipotesi che più probabilmente si realizzerà, sarà la parificazione di due professioni – medica e infermieristica- assolutamente diverse sia nella preparazione teorica che nella pratica. Di fronte a questa ipotesi noi siamo decisamente contrari”.
E’ quanto dichiara Alessandro Garau, segretario nazionale del COAS Medici dirigenti in merito alla ventilata possibilità di equiparare l’ordine dei medici con il nascente ordine degli infermieri.
“Da sempre – aggiunge Garau – l’infermiere si è dedicato a mansioni esecutive, da sempre i Medici si sono assunti l’onere e la responsabilità della diagnosi e cura di una persona, elaborando in scienza e coscienza una ipotesi diagnostica ed una condotta terapeutica conseguente. Ai Medici, in virtu’ della loro conoscenza della fisiopatologia e della esperienza maturata, e’ stata sempre affidata la tutela della vita umana”.
“Anche agli infermieri – prosegue Garau – vengono affidate manovre finalizzate alla conservazione e tutela della vita, ma non viene richiesto ne’ di formulare una diagnosi ne’ di impostare un percorso terapeutico; forse gli sarà richiesto un buon grado di collaborazione e di conoscenza tecnica nell’eseguire una specifica terapia, ma difficilmente gli verrà chiesto di più”.
“Non certo per difendere privilegi o le caste professionali, – conclude – ma crediamo giusto sottolineare, con il massimo rispetto dei ruoli, la differenza intercorrente tra l’esecutore di un ordine e chi ha la potestà di progettare quell’ordine e motivarlo. Ci auguriamo che in questo clima elettorale non si ceda alle tentazioni di un facile populismo alla ricerca di voti”.
Ausiliarietà idea da abbandonare. Correva l ‘anno 2010..
In risposta all’articolo di Garau (coas) pubblichiamo alcuni articoli tratti dal Sole 24 Ore Sanità n. 30-31/2010 del 3 ago-sto-6 settembre, in merito alla questione degli ambiti di autonomia delle professioni sanitarie,articolo più attuale che mai..
Correva l’anno 2010
Non possono condividersi le conclusioni a cui approda Gianfranco Iadecola nell’articolo apparso sul Sole 24 Ore Sanità n. 26/2010, laddove sostiene l’esistenza di una sor-ta di “superiorità funzionale” del medico nei confronti dell’infermiere, dovuta “a esclusiva ragione delle sue mag-giori conoscenze e abilità” e come il medico debba, sem-pre e in ogni caso, fungere da supervisore nei confronti dell’attività dell’infermiere, esecutore materiale delle pre-stazioni e soggetto a un potere di sorveglianza messo in atto dal medico stesso. È curioso che, a distanza di oltre dieci anni da una riforma epocale delle professioni sani-tarie ex ausiliarie, si discuta ancora di una “superiorità funzionale” del medico a cui, inevitabilmente, dovrebbe corrispondere una inferiorità funzionale dell’infermiere, con buona pace del rispetto della reciproca autonomia professionale. Ed è sconfortante apprendere come la fi-gura professionale dell’infermiere venga ancora tratteg-giata, appunto, come “esecutore materiale” da una parte e il suo operato sottoposto ancora al vaglio dell’art. 348 Cp in tema di abusivo esercizio di professione. Ecco che, allora, seppure in via di prima approssimazio-ne, occorre precisare come gli ambiti professionali all’in-terno dei quali si muovono medici e infermieri siano del tutto distinti, occupandosi della malattia il medico e delle conseguenze della malattia e, dunque, della qualità della vita della persona malata, l’infermiere (Motta). Deve essere chiaro, in altre parole, che si discute di due ambiti distinti e specifici, ognuno con una propria dignità professionale e scientifica, dove il curare e il prendersi cura devono essere prerogativa di professionisti differenti che, pur integrandosi tra loro, mantengono sempre inal-terate le loro sfere di autonomia professionale. Deve emergere, allora, il significato dell’essenza della professione infermieristica, ancora oggi troppo spes-so confusa e scambiata per una professione ausiliaria al medico, e ciò secondo vecchi e superati modelli che ve-devano e soprattutto volevano una infermieristica ancilla medicinae. Ma se è il medico che cura, e l’in-fermiere non ha nessun interesse a occupare spazi di cura che spettano professionalmente e normativa-mente al medico, deve essere rico-nosciuto all’infermiere lo spazio del prendersi cura del malato, conve-nendo che esiste uno specifico pro-fessionale dell’assistenza infermieristica, circa il quale il medico non può ingerirsi, semplicemente perché non ne ha le competenze. Ecco la vera rivoluzione copernicana: Le leggi parlano chiaro: le attività sono distinte e autonomeI presupposti post-riforma del 1999troppo spesso occupati e preoccupati dalla (inesistente) intrusione dell’infermiere negli spazi medici, si corre il ri-schio di non censurare le intromissioni del medico in un campo che non è medico ma è, appunto, infermieristico, dove l’infermiere non è l’esecutore di atti decisi da altri, ma è il responsabile, tra le altre e a titolo esemplificativo, dell’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristi-ca e della ricerca degli strumenti, dei metodi, delle com-petenze e delle tecniche tese a fornire una risposta a tali bisogni. Se è indiscutibile che esistono atti medici esclusi-vi, o, forse più correttamente, atti sanitari praticabili in via esclusiva dal medico, deve riconoscersi come esistono atti sanitari praticabili in via esclusiva dagli infermieri, quali-ficabili atti infermieristici, circa i quali il medico non può intromettersi dal momento che sono di esclusiva compe-tenza infermieristica. Oggi la professione infermieristica possiede una sua spe-cifica identità professionale, un suo campo proprio di at-tività e di responsabilità e, quindi, di professionalità. Ne è prova quello che può essere definito lo statuto normativo dell’infermiere, che prende le mosse dal Dm 14 settem-bre 1994, n. 739, che definisce l’infermiere responsabile dell’assistenza infermieristica, indicando specificamente gli ambiti nei quali si manifesta la sua professionalità. E già una prima lettura del citato Dm pone il quesito sul comAlfio Stiro:
e, e soprattutto su quali fondamenti professionali e giuridici, si possa attribuire al medico un ruolo di supervi-sore in un ambito che è solo ed esclusivamente infermieri-stico o, eventualmente, collaborativo laddove l’infermiere è chiamato a garantire la corretta applicazione delle pro-cedure diagnostico-terapeutiche. Quindi, il cambiamento normativo deve essere necessariamente letto a un livello ben più profondo, che vada oltre la lettura della semplice individuazione delle “mansioni” e giunga, al contrario, a cogliere l’essenza stessa dell’infermiere. Questo vuol dire comprendere come ci si trovi di fronte a un processo di maturazione profes-sionale e giuridica che ha investito la professione oramai da 15 anni, ma le cui basi sono ben più risalenti. Il riferimento è anche alla legge 26 febbraio 1999, n. 42 che, nel sosti-tuire la denominazione “professio-ne sanitaria ausiliaria” di cui al Tu sulle leggi sanitarie e in ogni altra disposizione di legge, ha espressa-mente proceduto all’abrogazione del mansionario di cui al Dpr 225/1974 ma, soprattutto, ha stabilito che le profes-sioni sanitarie sono titolari di un campo proprio di attività.
Successivamente, la legge 8 agosto 2000, n. 251 manifesta in maniera esplicita il principio dell’auto-nomia professionale delle varie professioni sanitarie, tra cui ovviamente quella infermieristica, stabilendo come le attività professionali riconosciute agli infermieri vengano svolte con autonomia professionale mediante l’utilizzo di metodologie di pianificazione per obiettivi dell’as-sistenza. Inoltre, e ciò dimostra come sia proprio il legislatore a voler su-perare completamente il concetto di “dipendenza funzionale” dell’infer-miere rispetto al medico, il medesimo articolo stabilisce che debba essere sviluppata dallo Stato e dalle Regio-ni, ciascuno nell’ambito delle pro-prie funzioni, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle profes-sioni infermieristiche, attribuendo all’interno delle aziende sanitarie la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni proprio al personale infermieristico, mediante l’adozione di percorsi e di modelli di assistenza personalizzata. In altre parole si è assistito al passaggio, all’interno del-la professione infermieristica, da una condizione di ete-ronomia a una condizione di autonomia, ovvero da una condizione di dipendenza a una condizione di autonomia professionale. E questo comporta come necessariamente la responsabilità del processo assistenziale debba essere governata esclusivamente dall’infermiere. La conseguenza è che l’obbligo di protezione nei confronti del paziente, la cosiddetta posizione di garanzia, vada riconosciuta tanto in capo al medico quanto in capo all’infermiere, ciascuno in relazione all’osservanza delle proprie leges artis per la miglior tutela del bene salute del paziente. E il medico non sarà più titolare di una posizione di garanzia nei confron-ti dell’infermiere. Conseguentemente, l’autonomia pro-fessionale attribuita all’infermiere consente di escludere l’esistenza di un vincolo di subordinazione dell’infermiere stesso rispetto al medico (Pecennini F. La responsabilità sanitaria, Zanichelli, 2007). Dunque, non potendo fare riferimento alla giurisprudenza, che ancora non ha avuto modo e occasione di pronunciarsi appieno sugli argomenti in discussione, occorre fare riferimento alla scarna dottrina che, tuttavia, ha affermato come non sembrano più esistere spazi o aree di subordinazione dell’infermiere nei confron-ti del medico e come, addirittura, vi sia una netta separa-zione funzionale tra l’attività del medico e quella dell’in-fermiere, dominus assoluto e solitario della propria sfera di competenza (Ambrosetti F., Picinnelli M., Picinnelli R., La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, Utet, 2003). Pertanto, ben può affermarsi come l’infermiere, e non il medico, sia l’unico professionista responsabile dell’attua-zione di quel complesso di atti assistenziali prodotti dalle competenze intellettuali, relazionali e tecnico-operative insite nel profilo professionale e derivanti dalla forma-zione, creando così un ambito di esclusiva pertinenza infermieristica, e circa il quale l’infermiere assumerà lui una posizione di garanzia nei confronti della persona malata, costituita da un’assistenza appropriata ed effica-ce, dall’utilizzo di strumenti operativi e dall’attuazione di metodologie per la personalizzazione dell’assistenza, con l’obiettivo di organizzare e gestire, appunto, le attività di assistenza infermieristica (e non medica, quindi). Ancora una volta, dunque, occorre doman-darsi, e forse è questo il vero noc-ciolo della questione, come possa il medico supervisionare il percorso di presa in carico dal punto di vista assistenziale della persona malata, andando così a incidere su percor-si, quali ad esempio la complessità assistenziale, che costituiscono l’es-senza della professione infermieri-stica. È pacifico, dunque, che se questo ora rappresentato è il nuovo sistema professionale e giuridico all’interno del quale si muove l’infermiere del terzo millennio, occorre distinguere tra interventi infermieristici au
Alfio Stiro:
tonomi e in-terventi infermieristici “su prescrizione medica”, come già accennato sopra, laddove su prescrizione medica non può significare su controllo o supervisione del medico ma piuttosto, in maniera ben più complessa e articolata, come l’infermiere, in collaborazione appunto col medico, garantisce e quindi assicura la corretta applicazione delle procedure diagnostico-terapeutiche, assumendosi lui la diretta responsabilità di tale correttezza. In conclusione, occorre ribadire come gli infermieri in-nanzitutto, ma poi i medici, i giuristi e i giudici, questi ultimi che saranno chiamati a giudicare i comportamenti dei professionisti, debbano avere ben chiaro che l’infer-mieristica è una scienza unica, forse troppo giovane per essere compiutamente compresa e accettata come tale, con un proprio campo d’azione individuato dalle teorie del nursing e dai modelli concettuali circa i quali diventa davvero difficile comprendere come il medico possa van-tare il ruolo di supervisore nell’ambito di una scienza che, appunto, non gli appartiene. La preoccupazione è vedere una parte della dottrina giuri-dica e della giurisprudenza, oltre che della classe medica, arroccata e ancora fortemente radicata a vecchi, desueti, superati concetti di ausiliarietà, e conseguente perseverare in maniera ostinata a identificare ancora l’infermiere come un ausiliario del medico, che presta assistenza al medico quando invece, oggi, l’infermiere è un professionista do-tato di un proprio specifico professionale, proteso verso il paziente e orientato a fornire assistenza al paziente stesso, nell’ambito di sistemi sanitari complessi che devono ne-cessariamente prendere atto di tale trasformazione e, con-seguentemente, modificare i loro assetti interni.Giannantonio BarbieriAvvocatoSole 24 Ore Sanità, n. 30-31/20
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